'68. Eravamo ubriachi di politica, musica, libertà, voglia di incidere, di dire la nostra. Esaltati al punto di convincerci che potevamo cambiare il mondo.







Eravamo i figli del boom economico. I primi a sperimentare la democrazia, a frequentare l'università liberamente, ad avere molteplici possibilità di scelta per la nostra vita, a gustare il sapore della protesta, i primi a nuotare nella consapevolezza dell'importanza della democrazia dopo vent'anni di dittatura, di autarchia economica e culturale, che costringeva quelli venuti prima di noi a riferirsi a louis armstrong come a Luigi Fortebraccio. 


Noi, per contro, eravamo bombardati e sommersi da tutto ciò che era stato proibito fino a pochi anni prima. Avevamo nuova musica, americana, inglese, la letteratura americana che arrivava tutta in una volta dopo trent'anni di oscuramento, John Steinbeck, jack Kerouac, la beat generation, Sartre, Nanda Pivano, il gruppo 63, la ventata di libertà e contestazione che veniva dall'America. Eravamo ubriachi di politica, musica, libertà, voglia di incidere, di dire la nostra. Esaltati al punto di convincerci che potevamo cambiare il mondo. Dio mio, che ingenuità! Che errore di valutazione! Che illusione! Che presunzione mescolata con una incapacità di capire a fondo ciò che ci circondava, ciò che stavamo facendo, di cosa fossimo parte realmente, di quali forze ci spingevano e incanalavano! 


Non eravamo così colti e preparati come le mie citazioni potrebbero suggerire: servono solo a rendere l'aria che si respirava.
 Eravamo degli adolescenti che si erano appena affacciati 
ad un mondo difficile da decifrare con i nostri limitati mezzi. Come tutti i giovani rivoluzionari di tutto il mondo e di tutti i tempi, in realtà, non contavamo una minchia. Così ingenui eravamo, così facilmente strumentalizzabili dalle forze economiche che, sempre, loro sì, decidono da che parte deve soffiare il vento, leste a fagocitare qualsiasi istanza di cambiamento, per incanalarla nei tranquilli alvei della società controllata dai padroni. I ricchi. Non abbiamo concluso un cazzo. Come succede in tutte le rivoluzioni, chi poi se ne avvantaggia è chi prende davvero il potere quando si abbandona la strada e le piazze. È sempre successo così. Non eravamo mica speciali! 

C'erano i giovani in gamba, c'erano gli stolti, c'erano i fanatici che anche allora non sapevano esprimere un concetto e che parlavano per slogan e che poi si dettero alla lotta armata con il loro bagaglio di presunzione e ignoranza, c'era di tutto e di più. Tutti, passata l'euforia iniziale e l'adolescenza, presero ognuno la propria strada seguendo i normali percorsi propri di tutti i giovani che a poco a poco si diluiscono nella società degli adulti. È successo nella rivoluzione francese, è successo alle rivoluzioni delle nazioni arabe, la primavera araba, in Tunisia, in Siria, Egitto, Libia. I giovani, più suscettibili all'entusiasmo e al fanatismo, sono sempre stata la manovalanza a basso costo degli adulti che detengono il potere vero, che poi è quello delle armi e dei soldi. Ci sono quelli che, ancora oggi, dipingono quel periodo come un momento importante nella storia della società e dei costumi. 

Non mi trovano d’accordo: fu, è vero, un momento di grande e intensa partecipazione politica dei giovani i quali, altra peculiarità, contemporaneamente in tutto il mondo, si trovarono a gridare il loro bisogno di cambiamento all’unisono a Milano e a Parigi, a Londra e New York, a Tokio e a Pisa e, perfino, a Castelvetrano. Fu, è vero, un periodo breve come la vita di una meteora, ma che , come una meteora, per un attimo illuminò il mondo della luce degli ideali propugnati dai giovani. Fu, è vero, una fucina di idee, di richieste di cambiamenti, che già erano nell’aria e sembravano maturi, in tutte le sfere della vita sociale e politica; dalla maggiore partecipazione alla formazione delle decisioni in politica, al rigetto dell’idea di guerra, dalla richiesta della fine della guerra in Vietnam alla filosofia hippy del “mettete dei fiori nei vostri cannoni” e del “fate l’amore non la guerra”, dal rifiuto delle regole convenzionali in auge alla rivoluzione dell’amore libero, dal movimento di
liberazione della donna, che conobbe allora un fermento e un successo che non si vedeva da 40 anni, alla richiesta di condizioni migliori per i lavoratori delle fabbriche, che in Italia portarono gli studenti ad affiancarsi agli operai nelle loro lotte contro i padroni.



Ma è anche vero che era un chiedere troppo. Troppa carne al fuoco. I detentori del potere, in espansione economica e quindi più inclini ad accordare certi cambiamenti che non mettevano in pericolo il loro potere e non mettevano in
discussione la loro presa sulla politica e l’economia, ebbero buon gioco a fare proprie certe istanze e, cavalcando ed incoraggiando certi aspetti marginali e folcloristici del movimento e concedendo maggiori diritti ai lavoratori, già persino troppo maturi per i tempi di boom economico, sedarono la protesta e la incanalarono in alvei istituzionali più quieti e sicuri.

Primavera araba

In Italia una cosa notevole e impagabile, per la nostra soddisfazione di giovani di sinistra, fu che i neri e fumanti di rabbia fascisti, ancora costretti a nascondersi nelle fogne o dietro i doppiopetti almirantiani del MSI, con la testa girata a 160° indietro verso un periodo di compressione delle libertà e di guerra, non poterono godersi la gioiosità e la felicità dei giovani del movimento del sessantotto. Di lì a poco si prenderanno, con astio, la rivincita inaugurando la stagione delle stragi e delle stragi di stato.


No, non eravamo meglio dei giovani venuti dopo o prima. Ci siamo trovati, senza meriti particolari, a vivere una stagione che il caso, in un concorso di eventi e situazioni particolari, volle regalare a quella generazione. Alla fine rimanemmo tutti “dazed and confused”, per dirla con i Led Zeppelin, storditi e confusi e non sapemmo dare un seguito a quelle lotte.
Subimmo la stessa sorte di tutti i giovani rivoluzionari da che mondo è mondo. Ci arrendemmo alle inflessibili regole della vita vera con le sue ipocrisie ed esigenze di sopravvivenza, cucimmo le pezze della nostra vita nel tessuto sociale che non si lascia stravolgere dall’entusiasmo o fanatismo di un movimento di giovani senza potere né soldi, senza arte né parte.

La stessa cosa che, con le dovute differenze di ambientazione, accadde alla “Primavera araba” che investì tutto il mondo musulmano e che tante speranze aveva suscitato da quella parti.
Ma eravamo giovani e spesso si scambia la nostalgia per la gioventù finita con un inesistente età dell’oro e il caso con il merito. Ah noi che abbiamo fatto il '68!! Si deve tradurre con un semplice "Ah, com'eravamo giovani!" Nient'altro.
Riepilogo: un fallimento uguale a tutti i fallimenti di tutti i movimenti "rivoluzionari" di tutti i tempi.
Ce la siamo immaginata la rivoluzione!

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