C'è quest'idea, non nuova (il mito esiodeo dell'età dell'oro o
della genesi dove in principio tutto era perfetto), che il presente sia
peggiore del passato. "Ah!,ai miei tempi" è una frase che
si sente ripetere soprattutto ai vecchi come me, ma non solo. Sento
persino venticinquenni usarla.
Era una frase usata dai vecchi di quand'ero giovane. E le accuse
che venivano rivolte ai giovani erano uguali uguali a quelle che i
nuovi vecchi fanno ai nuovi giovani.Ma che musica ascoltano? Non c'è
più l'educazione di una volta! Sono troppo casinisti. Dissacratori.
Troppo disinibiti. Poco impegnati (questa accusa la fanno i
sessantottini). Poco studiosi, anche perché pure la scuola "non
è più quella di una volta"; "ah!, gli insegnanti di una
volta."
La musica per i vecchi di quand'ero giovane era "il
bandolero stanco scende la sierra misteriosa. Sul suo cavallo
bianco..." (Il tango delle capinere") e "Mamma tu compri
soltanto profumi per te..." Naturalmente non c'è bisogno di
essere musicologi per capire quanto quelle accuse fossero infondate.
I vecchi di oggi, oltre a quelle accuse sempiterne, ne fanno anche
di più moderne. Secondo loro la tecnologia, di cui molti non saprebbero fare a meno, è all'origine del degrado mentale e
comportamentale dei giovani.
Non si comunica più come una volta!
Anche in famiglia, a tavola tutti lì con lo sguardo sul telefonino.
La stessa identica accusa che facevano i vecchi di sessant'anni fa
quando nacque la televisione la quale, subito si conquistò il posto
d'onore in casa nel soggiorno e in cucina: e tutti a mangiare con gli
occhi incollati alla tv. "Non si comunica più!"
Giovanissima, la scienza dei computer, con l'avvento dei
transistor, fece il suo debutto di massa con le calcolatrici (
piccoli computer con programma dedicato alle operazioni
aritmetiche) quando io avevo pochi anni. “Ma così i nostri giovani
perdono le loro abilità di calcolo mentale” Ah!, ai miei tempi ci
facevano imparare la tabellina a memoria” o "Imparavamo tutte le poesie a memoria!" ( Vedi che gran cosa!)
Oggi al tempo dei computer, internet, facebook, motori di ricerca,
i vecchi accusano i giovani di essersi impigriti, di non sforzarsi
abbastanza nello studio, di copiare e incollare senza troppo
elaborare. Come se sessant'anni fa, invece, a noi, giovani di
allora, bastasse spremere le meningi, ovviamente di qualità
superiore, per produrre elaborati e riassunti e compiti di matematica
e di fisica “originali”. Chi era più fortunato e a casa aveva
qualche libro, qualche enciclopedia evitava la fatica di andare in
biblioteca ma, anche se non incollava, certamente copiava: quelli più
volenterosi cambiavano qualche parolina. Proprio come i giovani
d'oggi.
“Sono poco impegnati in politica” recriminano i vecchi di oggi
che da giovani le attribuivano grande importanza. Era il dopoguerra,
la democrazia faceva i suoi primi difficili e turbolenti passi, era
tempo di graduali e successive conquiste di diritti civili e sociali,
le donne avevano il diritto di votare da pochissimi anni, erano gli
anni del boom economico e solo per questo motivo i lavoratori
acquisirono diritti prima impensabili. Erano anni di profondi
cambiamenti sociali possibili, lo ripeto, perché c'era più
ricchezza (Quando la ricchezza diminuisce i primi a risentirne sono le lavoratrici e poi i lavoratori). Ovvio che ci fosse da parte dei giovani
più attenzione alla politica!
Oggi è il tempo della disoccupazione,
dello sfruttamento intensivo di operai e impiegati che, lavorando
più di dodici ore al giorno (come cent'anni fa), non riescono a
portare a casa il necessario per sostentarsi, nemmeno se sono in
due, come cento anni fa. Una commessa viene pagata nei locali negozi e centri
commerciali, per dodici-quattordici ore e sei giorni la settimana 350-400 euro al mese. E la politica non dice niente e non fa intravedere ai giovani niente di
buono. Perché dovrebbero interessarsene se non è in grado di battersi per una società più giusta?
Io, per quanti sforzi faccia, non riesco a ricordare che si stesse
meglio di oggi quando ero giovane.
A Castelvetrano le strade non erano asfaltate. Si completarono,
poi, nel corso degli anni sessanta.
L'unico svago erano delle sale da bigliardo che servivano anche da rifugio quando si marinava la scuola e la cosa più innocua e raffinata era andare a prendersi un gelato con la panna prodotta dal "Sig. Clemente"(che dio l'abbia in gloria) in via Bonsignore, uno spazio di 2 metri x 2 e tre poltroncine che se eravate cinque...
I giochi erano giochi da strada, da selvaggi, “tavuli cu li roti
a pallini”, “lu croccu p'arrubari la racina di supra li camii o
li carretti”. I ragazzini più turbolenti, divisi in bande di quartiere,
si
riunivano “a li cumuna” (attuale villa Falcone e Borsellino”) e
facevano le battaglie a colpi di pietra, "a pitrati": “l'itria contru li
cappuccini”.
Zuffe e accoltellamenti e omicidi erano cosa
ordinaria. In molte case negli anni '60 non c'era l'acqua corrente,
anche gli impianti elettrici erano in via di implementazione. Non c'erano computer, non c'erano telefonini, non c'era il wi-fi, né gli i-pod. Ma che minchia di vita era?
Eppure c'è chi rimpiange quei tempi, senza riuscire a confessare
a se stesso che quello che si rimpiange è solo la giovinezza.
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