Francesco Fiordaliso: "Ho considerato l’uomo sempre come fine e mai come mezzo, tenendo ferme due certezze: il cielo stellato sopra di me e la legge morale che è in me."



Dal momento in cui sono andato in pensione, insalutato ospite, ho deciso di non partecipare più all'attività pubblica, chiudendomi, sdegnoso e sdegnato, nella mia “turris eburnea” e dedicandomi ai miei magnifici tre nipoti.
L’unica mia uscita, in verità, è stata in occasione di un convegno su Luciano Messina, a cui avevo intestato l’aula magna del Liceo “Giovanni Gentile” con la stessa procedura usata anche per “Peppino Impastato”, senza subire però questa volta nessuna contestazione. Non potevo rifiutare l’invito della vedova, che ci teneva alla mia testimonianza, conoscendo i rapporti di reciproca stima e simpatia che mi legavano a suo marito.

Di conseguenza, non ho partecipato nemmeno al convegno di “Libera”, di cui sono venuto a conoscenza tramite i blog, in cui don Ciotti ha ricordato il mio impegno nell'attività per la formazione di una coscienza civile e democratica all'interno delle scuole da me dirette.
Ciò ha disturbato il direttore di un giornalaccio locale, che, addirittura, con la precipua volontà di denigrarmi, ha ricordato che ho cambiato partito alla fine degli anni settanta del secolo scorso, circa quarant'anni fa. Per il tizio nessuno può cambiare idea, dimenticando, come ebbe a dire un illustre personaggio, che “solo gli asini e gli imbecilli non cambiano idea”. E poi, come fa a dire, che dalla sera alla mattina ho lasciato un partito, che poi ha lasciato se stesso, di cui era venuta meno la spinta propulsiva che lo aveva portato a essere, come scrisse Pasolini, “un partito pulito in un Paese sporco”? In verità, il mio è stato un lungo travaglio, conclusosi, dopo lunghe discussioni con don Antonio Riboldi, con un pellegrinaggio in Terra Santa. Dopo quella militanza non ho preso la tessera di alcun partito, non mi sono più candidato, accettando solo la carica di assessore provinciale, quale tecnico, offertami da Spitaleri.


Mi sono, invece, impegnato a scuola, nella convinzione che solo i giovani sono i protagonisti del cambiamento e che bisogna operare nei loro confronti un’azione educativa che li porti prima, attraverso la pars destruens, a liberarsi delle false convinzioni di cui sono impregnati, per poi, attraverso la pars costruens, aiutarli a pervenire maieuticamente alla verità che li rende liberi. Per cui, lo dico in termini provocatori, sono diventato un professionista dell’antimafia, prima come docente di educazione civica e poi come preside, dando vita, assieme ad altri valorosi colleghi palermitani, come Mercadante, Ajovalasit, Rizzo, Pusateri, al movimento e alla rivista Scuola antimafia, con cui abbiamo ottenuto che l’ARS varasse la legge 51 dell’80, che argiva un contributo di cinque milioni a quelle scuole che avviassero progetti per la formazione di una coscienza contro la mafia.


Tengo a precisare che, come educatore, non sono favorevole a operare contro, ma pro. In questo caso, però, era necessario procedere a demolire una mentalità diffusa, trasmessa da padre in figlio acriticamente, che distingueva una mafia buona, che difendeva i deboli e toglieva ai ricchi per dare ai poveri, amministrando i territori abbandonati dallo Stato, da una mafia cattiva, che spacciava droga e morte.
D'altronde non si potevano formare uomini e cittadini, come volevano le finalità dei programmi scolastici, se prima non si prendeva coscienza che la mafia è, ed è sempre stata, un cancro per la Sicilia, usando ora la pacca sulle spalle e la lupara, ora la droga e la dinamite per comandare. E’ come il topo, che in campagna si presenta innocuo, se non carino, mentre in città diventa ratto repellente, adattandosi a vivere nelle fogne.

"E’ iniziato così un percorso che ha coinvolto entusiasticamente docenti, genitori e studenti, con performance contro la mafia, ricerche, incontri-dibattiti con magistrati, come Paolo Borsellino, figure istituzionali come Luciano Violante, presidente della
Commissione bicamerale antimafia, personalità illustri, come padre Ennio Pintacuda, Leoluca Orlando e Nando Dalla Chiesa, sino a quando la notte tra il 29 febbraio e il 1° marzo del 1992 la sezione della mia scuola che ospitava le ultime classi impegnate nel progetto antimafia non venne data a fuoco.
Guarda caso al mattino gli studenti erano stati impegnati in un dibattito con il magistrato Carlo Palermo, che aveva subito l’attentato di Pizzo Lungo, dove hanno perso la vita i fratellini Asta e la loro madre, e che aveva chiesto di venire a Castelvetrano per sfidare i mandanti della strage.
Nessuno, però, consapevole dei pericoli che correva, aveva consentito a organizzare il dibattito, che, alla fine, si tenne nella mia scuola.



Ricordo che siamo stati lasciati soli, costretti al doppio turno, sino a quando i bidelli, dopo circa quindici giorni, si misero volontariamente al lavoro per ripristinare i locali.
Era chiara la volontà della P.A. di fare chiudere la scuola!
Cosa curiosa è che arrivò un ispettore dell’Assessorato regionale alla P.I. a verificare come io avessi speso il contributo che la Regione elargiva per le spese di manutenzione ordinaria dei locali. Mai si era verificata, a mia conoscenza, una cosa del genere! Un’altra curiosità: padre Pintacuda organizzò per il sabato successivo un incontro per esprimere solidarietà alla comunità scolastica. Quando arrivò a Castelvetrano i vigili urbani l’accompagnarono premurosi presso un’altra scuola, ove erano presenti tutte le autorità locali e regionali. Accortosi dell’equivoco, egli salutò tutti e venne nella mia scuola, ma nessuno lo seguì."

Collocai, a futura memoria, le foto ingrandite dell’incendio nell'aula magna, ma qualcuno, dopo il mio trasferimento a Mazara del Vallo, non so perché, le ha rimosse, come avrebbero in seguito con la mostra su Peppino Impastato e con gli altri manifesti nei licei. .
Dopo un iniziale sbandamento, proseguimmo la nostra sfida educativa contro la mafia, spedendo un bellissimo manifesto, che raffigurava un corteo di studenti che abbatteva il muro della mafia, a tutte le scuole italiane intitolato "Per una nuova primavera", indicando nel 21 marzo la giornata per celebrare tutte le vittime della mafia.
Ma vi furono altri episodi di intimidazione, che mi corre l'obbligo ricordare: la targa della scuola divelta e spezzata in due, la gallina ruspante infilzata nel cancello, un lumino acceso dietro la porta di casa, una telefonata minacciosa che mi intimava di allinearmi se volevo stare tranquillo.

Anche la Regione che ci aveva promesso un finanziamento straordinario si tirò indietro, per cui feci affiggere per le vie della città un manifesto listato a lutto, quello che solitamente si usa per i defunti, con su scritto: "E’ venuto meno il signor finanziamento regionale"
Arriviamo ora all'episodio più grave.
A maggio ricevetti un invito da una scuola di Piazza Armerina per andare a parlare della nostra esperienza, cosicché, dovendo partire presto, lasciai la mia auto sotto casa e non in garage.
Verso mezzanotte sentii bussare in modo insistente: erano i miei condomini che mi avvisavano che la mia vettura, un'alfa rossa fiammante, stava andando a fuoco, trasformandosi repentinamente da fiammante a fiammeggiante.
Mio figlio si slanciò giù per cercare di spegnere l’incendio, ma, per fortuna, riuscii a bloccarlo in tempo. Avevo comprato quell'auto dietro le sue pressanti insistenze, in quanto, per la mia filosofia di vita, sono avvezzo a usare da sempre le utilitarie.
Sulla natura dolosa dell’incendio non vi furono dubbi, anche perché i vigili del fuoco, intervenuti prontamente, trovarono nei pressi una bottiglia di plastica, dalla quale era stato versato il liquido infiammabile.


Le reazioni dei miei vicini furono emblematiche: qualcuno mi ha chiesto di ripristinare il prospetto della palazzina affumicato, qualche altro, invece, per prudenza posteggiava la propria auto lontana da quella di mia moglie, a scanso di ogni eventuale pericolo.
A scuola, invece, tranne qualche donnetta che sosteneva che me l’ero cercata "nucennu lu cani chi dormi", ho avuto la piena solidarietà di tutta la comunità scolastica.
Eravamo, infatti, riusciti a riempire di significato una parola, quella di comunità, usata spesso solo formalmente.
Anche Maurizio Costanzo si fece sentire, sensibilizzato dalla Presidente del Coordinamento nazionale antimafia, invitandomi a partecipare alla sua trasmissione a Roma.
Nel frattempo, la mia vecchia mamma mi ha fatto sapere, allarmata, di avere ricevuto in piena notte una telefonata, con cui, con toni minacciosi, le si intimava di farmi smettere la mia attività antimafia.
Per cui, pensando soprattutto ai miei cari, ho declinato l’invito lusinghiero di Costanzo, tenendo a freno la mia vanità, che mi ha sempre contraddistinto.




Solo quando seppi, di lì a qualche giorno, dell’attentatuni contro Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, capii che non avevo il diritto di avere paura o di essere prudente e che, come per loro, la lotta contro la mafia, almeno a livello educativo, era un mio compito che non potevo né dovevo delegare ad altri.
Così, con mia moglie, che non volle farmi partire da solo, e i miei due figli, sono andato a Roma a raccontare la mia esperienza da Maurizio Costanzo.

Nel frattempo era stata avviata una campagna per denigrarmi. Solitamente si usa come obiettivo la moglie, ma siccome la mia è di ottima famiglia, oltre che di specchiate virtù, la “mascariata” non era credibile, per cui si ricorse a quella che nella tradizione siciliana si chiama ‘nciuria.

Presumo che ovunque ci sia il vezzo di appioppare soprannomi, ma da noi la ‘nciuria assume una connotazione non sempre positiva.
Quindi, cominciarono a sussurrarsi negli angoli delle piazze dubbi sulla mia virilità, cosa che mi fa ancora oggi sorridere, sia per il rispetto che io nutro nei confronti degli omosessuali, che hanno diritto di decidere della loro vita come vogliono, sia per il fatto che la mia educazione è talmente rigida che esclude categoricamente qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio monogamico.
Pensai, allora, di allentare la tensione trasferendomi a Mazara del Vallo, ove, con docenti e studenti eccezionali, riuscii a ricreare una comunità scolastica, impegnata all'unisono e toto corde in una sfida pedagogica di alta qualità.
Tornato a Castelvetrano, ripresi la mia attività antimafia; venuto a conoscenza dell'alta taglia che c'è sulla testa di Matteo Messina Denaro, feci anche riprodurre la foto segnaletica della polizia con la scritta "Wanted".




Tra gli studenti c'erano molti rampolli delle famiglie mafiose della città, tra cui la figlia e il ragazzo di Matteo Messina Denaro, le figlie di Grigoli, il re dei supermercati e altri.
Ricominciarono così gli atti intimidatori, magari utilizzando la manovalanza giovanile: il fuoco appiccato al portone del Classico, la pallottola a me indirizzata rinvenuta in portineria, una rivista con figure in copertina con la bocca incerottata speditami dalla Germania.
Visto, poi, che non ero stato per niente colpito dalle voci messe artatamente in giro su una mia presunta omosessualità, sono ricorsi all'accusa di pedofilia scritta a chiare lettere con una vernice rossa su tutti i muri di Castelvetrano, Campobello e Tre Fontane.
Mi si voleva colpire non solo nella mia professione, quale educatore che vive e opera tra i giovani, ma anche come nonno che ha a che fare con tre nipoti!
Era chiaro che dietro tutto questo, c'erano menti raffinate, coscienti che la calunnia “s’un tinci mascaria”, lasciando sempre un’ombra di dubbio.
E’ vero che avevo ricevuto le onorificenze di Cavaliere prima e di Commendatore poi al merito della Repubblica, che ero stato ricevuto dal Presidente della Repubblica nel suo studio privato, ma portare il peso di così gravi accuse diventava per me sempre più insostenibile.
A ciò si aggiunga l’ostracismo che i miei due figli hanno subito costantemente all'interno della società castelvetranese, in ogni occasione, anche lavorativa.
Comunque, ho continuato a svolgere il mio ruolo di “professionista dell’antimafia” sino all'ultimo con serietà e impegno.
Nella mia vita ho sempre coltivato laicamente il dubbio, quello metodico e non quello scettico, che mi ha spinto spesso a infrangere le antiche tavole della conoscenza per costruirne delle nuove, divorando le mie scelte.
Ho considerato l’uomo sempre come fine e mai come mezzo, tenendo ferme, come Kant, due certezze: il cielo stellato sopra di me e la legge morale che è in me.


N.B.: Ringrazio tutti quelli che, in un modo o in un altro, hanno voluto manifestarmi la loro empatia. Mi scuso per qualche refuso, dovuto al copia e incolla, se non a qualche mia disattenzione.


Francesco Fiordaliso

Commenti

  1. Carissimo Franco, non trovo le parole giuste per esprimerti la mia soddisfazione per il tuo articolo. Basta solo un grazie?!

    RispondiElimina
  2. Direi che "Grazie" avanza. Ho solo ospitato con grandissimo piacere una tua nota sul mio blog. Spero ci saranno altre possibilità. Stai avendo molto successo. I cenni di gradimento del tuo articolo, che oggi si chiamano "like", hanno raggiunto cifre che non ti dico per non farti montare la testa.

    RispondiElimina
  3. Grazie per avermi fatto conoscere Tongue Of Secrets, interessantissimo Blog di Franco La Rocca

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

"Are you lonesome tonight?" "Ti senti sola stasera?" Elvis Presley, Bobby Solo, Michele, Little Tony

Il Cretto di Burri. Vale la pena di mantenere una delle più inquietanti e obbrobriose opere di land art di sempre? Desolante e desolata nell'assolata campagna.

Dance me to the end of love. Olocausto e amore.