Lorenzo Orsetti morto combattendo a fianco dei curdi contro l'Isis. R.I.P. |
Non
sapevo niente di Lorenzo Orsetti. Non seguo le guerre; è già troppo
per me sapere che ci sono. Nato a Firenze, 33 anni fa, più di un
anno fa si arruolò nel YPG, le truppe curde che sotto questa sigla
combattono lo stato islamico (ISIS). La sua vita di cuoco e sommelier
comprimeva troppo la sua "smania" di combattere per un
"ideale di giustizia". Avrebbe avuto l'imbarazzo della
scelta, ma le circostanze lo hanno indotto ad andare ad aiutare i
Curdi contro l'ISIS.
In
questi giorni, l'annuncio, da parte dell'ISIS, della sua uccisione ha
occupato i giornali e i social media. Da parte di molti di sinistra,
gruppi, movimenti, individui, blog, media si è levato il il grido
"Orsetti è morto, viva Orsetti!" "È morto per
difendere i suoi ideali di uguaglianza e libertà".
Naturalmente,
come tutti quelli che scelgono di morire in guerra, ha lasciato una
lettera, "testamento" lo chiamano i suoi sodali, una
consuetudine dei "miliziani", che si apre con le solite
parole "Ciao, se state leggendo questo messaggio significa
che non sono più in questo mondo". E continua: "Beh,
non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così." "...
nonostante la mia prematura dipartita, la mia vita resta comunque un
successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso
sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio."
La
scelta e le parole di quest'uomo coraggioso, come coraggiosi sono
tutti i fanatici, mi ha provocato un'inquietudine piena di tristezza,
rabbia, incredulità, amarezza. Anche per la sua morte, ma non solo.
Mi
fa tristezza che un giovane, fisicamente sano, con un lavoro e
degli affetti abbia abbracciato una scelta suicida, imbracciando,
invece che un tovagliolo, un fucile per una causa così lontana dalla
porta di casa sua. Gli ideali non conoscono confini, e neanche il
fanatismo. Avrebbe potuto curare sogni più normali, seguire i suoi
ideali di giustizia e uguaglianza subito fuori della porta di casa
sua, avrebbe potuto avere una compagna oppure no, dei figli oppure
no, andare dopo il lavoro alla caritas o un'altra organizzazione
benefica, occuparsi dei senza tetto, combattere per le ingiustizie e
le diseguaglianze che questi nostri governanti perpetrano e
perpetuano sull'uscio di casa sua, combattere per gli immigrati
maltrattati da Salvini e i suoi accoliti fascisti, combattere contro
i fascisti di casa nostra o contro i mafiosi di cosa nostra - per una
cosa più eccitante -, divulgare i suoi ideali di libertà e
uguaglianza nelle fabbriche italiane in Cina o in Romania. Avrebbe
potuto! Ma no, ha scelto il fucile, la guerra all'Isis.
Mi
fa rabbia che abbia scelto di fare la guerra ad altri giovani
che, fanatici come lui, hanno scelto la guerra per il suo stesso urgente e
incomprimibile bisogno di combattere per i propri ideali, quelli
dell'Isis però.
Chi
combatte una guerra a casa sua non è necessariamente un fanatico. Ci
sono molti curdi che farebbero a meno di vivere in guerra, ce ne sono
che di necessità fan virtù e utilizzano il loro fanatismo per
ottenere risultati "migliori" - in termini di numero di
persone uccise, di efficacia nel combattimento e di efficienza
militare. Nell'Isis, mi pare di poter affermare che ci siano solo
fanatici, fanatici come Orsetti. E solo dei fanatici, in assenza di
qualsiasi contingenza che li obblighi, si partono da Firenze per
andare a Baghouz a fare quello che, evidentemente, pensano di poter
fare bene, uccidere.
Mi
è già capitato di fare l'elogio del fanatismo. Nella vita,
nel tempo e nei luoghi si sviluppano e si affermano situazioni che
sono obbiettivamente difficili da smuovere o superare senza
"esagerare", senza un po' o molto fanatismo. Sono quelle
situazioni e solo quelle in cui il fanatico può scendere in campo e
fare la differenza. È in quelle realtà che la madre del fanatico è
sempre incinta, tra i curdi come tra i palestinesi, nel Congo come in
Somalia, come dovunque ci sia una guerra: le guerre, se si è poveri,
non si vincono senza fanatismo. Ecco, in tutti questi casi riesco a
provare un po' di empatia per i fanatici. Non è mai simpatia. Non me
li porterei comunque a casa mia, né li vorrei tra le mie conoscenze
o, men che meno, tra le mie amicizie: piani che non si incontrano.
Mi
ricordo bene l'inquietudine che mi provocò, in gioventù,
l'incontro casuale e fortuito con dei fanatici che negli anni '70
propugnavano la lotta armata rivoluzionaria per il comunismo, o la
conoscenza occasionale all'università di qualche picchiatore
fascista. Sentirli parlare, si fa per dire, vomitando squallidi
slogan vuoti di qualsiasi significato intellegibile, vederli
argomentare a suon di botte (più tipico, allora, dei fascisti di cui
Palermo era ben dotata) mi ha insegnato che per essere fanatici
bisogna metter in pausa il cervello, nei casi in cui c'è, e curare
meticolosamente la propria ignoranza. Meno ti funziona il cervello,
più ignorante sei e più fanatico puoi diventare. A prescindere
dalla parte ideale nella quale ci si è posti.
Quanta
tristezza mi fanno questi fanatici "internazionali" o
"foreign fighters"- così si chiamano quelli che da altri
paesi vanno a combattere in luoghi di guerra, spesso senza capire
contro chi e, soprattutto, guidati da chi. Incapaci, per limiti
intrinseci al fanatico, di vedere le complessità della realtà, ma
solo il bianco e il nero, di qua noi, il bene, di là loro, il male.
Come se il male e il bene avessero dei recinti obbligati. Non succede
neanche nei singoli individui, impastati come siamo, ognuno di noi,
di bene e male. Non importa che si uccida un giovane come noi, che ha
scelto l'altra parte con la stessa dose di coraggio, la stessa dose
di fanatismo, la stessa fede nel "bene", la stessa spinta
"ideologica", un giovane che senza guerra avrebbe potuto
inseguire sogni più "normali" e avere una vita piatta ma
sicura!
Quanta
amarezza mi provoca vedere che la parte a cui sento di
appartenere, la sinistra, spero non tutta, parli di Orsetti,
buon'anima, come di un "eroe", di un combattente per la
libertà e l'uguaglianza, di uno da cui prendere esempio ideale.
Il povero padre di Lorenzo |
Quanta
rabbia mi suscita leggere che la sua lettera, il suo
"testamento", sia qualcosa con un valore etico alto. È la
lettera di un fanatico, che ha deciso che l'unico modo che aveva per
aiutare gli altri ("voleva sempre aiutare gli altri" - sussurra il povero padre che ha dovuto subire lo strazio della sua
scelta.) era di andare a uccidere degli sconosciuti giovani come lui,
che, però, al contrario di lui, combattevano dalla parte del male, o
almeno così lui pensava.
Qual
è la differenza tra la la lettera di un fanatico terrorista islamico
o sovranista bianco che decidono di immolarsi per la loro causa con
la promessa ultraterrena di ogni bene materiale e vergini a volontà
o della gloria eterna nel paradiso del dio sovranista e quella di uno che sacrifica la sua vita contro l'Isis? Nessuna! Tutti si arrogano la facoltà di giudicare ciò che è male e di combatterlo con le armi.
Quanta
incredulità mi suscita questa posizione guerrafondaia di gente
che si professa di sinistra. Sono forse nel posto sbagliato? Ma,
allora, dove si mette chi è contro ogni forma di violenza e contro
ogni guerra, perché la guerra azzera ogni umanità, ogni buona
intenzione, ogni ragionamento? A Destra? Al centro? C'è una sinistra
per la guerra e una per la pace? Io credevo, sinceramente, di aver
capito diversamente. Da dove saltano fuori questi pruriti di
violenza, di guerra?
Che
differenza c'è tra la lettera di Orsetti:
"Non
ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto,
difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di
giustizia, eguaglianza e libertà."
e
quella di un terrorista islamico dell'Isis:
"Non
sono pazzo. Non commetto questo attentato suicida per sfuggire ad una
vita di problemi e di difficoltà. Faccio ciò che Allah vuole dal
suo Mujaheedin.
Noi
amiamo la morte come voi amate la vita. I musulmani accolgono la
morte perché sappiamo poi di raggiungere la Jennah ( il paradiso
musulmano) se Dio vuole, per aver difeso i deboli e gli oppressi
musulmani."
E
che cosa c'è di diverso nelle parole di Orsetti da quello che fa
l’Isis per reclutare altri kamikaze, altri jihadisti
suicidi:
"Vi
auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se
non l'avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo,
perché solo così si cambia il mondo." ? Agghiacciante!
E
quando dice di essere sicuro che morirà col sorriso sulle labbra,
avrà anche pensato a tutti i sorrisi di altri giovani come lui che
ha spento durante la sua sciagurata missione omicida suicida? Al
sorriso che i suoi genitori non potranno mostrare, alla loro vita
distrutta? Che conta? Per i narcisisti ciò che conta è io, io e solo
io.
Anche
se, certo, non si può paragonare Orsetti ai mercenari, dal punto di
vista morale, li accomuna però la stessa personalità disturbata, la
stessa noia e disprezzo per la vita "normale", la stessa
urgenza di "menar le mani", lo stesso disprezzo per la
dialettica: "I motivi che mi hanno spinto nel nord della
Siria sono molteplici, non starò qui ad elencarli. Vi basti sapere
che a mille parole ho sempre preferito i fatti"
Chi
prova urgenze suicide non è normale, è un malato che avrebbe
bisogno di cure, di quelle parole a cui lui ha sempre preferito i
"fatti".
Solo
una personalità disturbata, può decidere di abbandonare
fornelli e tastevin, un paese in cui gode di un grado di libertà
inconcepibile in molti posti del mondo, anche la libertà di dedicare
tanta parte del suo tempo a sprecare il suo corpo usandolo come un
muro da murale, per andare a farsi ammazzare nel bel mezzo del
niente, per un malinteso senso della gloria, per un'adesione, forse
inconsapevole, al motto Mussoliniano "meglio un giorno da leone
che cento da pecora." Le vie della sinistra e della destra
spesso si incrociano.
I
"crociati" che andavano a combattere contro i musulmani
per riconquistare la terra santa erano dei poveri disgraziati - parlo
dei fanti - che, reclutati dalla chiesa, non potevano sottrarsi, ma
chi poteva e non l'ha fatto - i cavalieri e il Papato - erano animati
dalla stessa furia omicida ideologica. Non è un caso che Orsetti
venga definito dagli isisiani che l'hanno ucciso "un crociato".
"Mi
sono avvicinato alla causa curda- ricordava Orsetti- perché mi
convincevano gli ideali che la ispirano, vogliono costruire una società più giusta più equa. L'emancipazione della donna, la
cooperazione sociale, l'ecologia sociale e, naturalmente, la
democrazia. Per questi ideali sarei stato pronto a combattere anche
altrove, in altri contesti."
E
quanti tra questi "internazionali" o "foreign
fighters" sono lì con i curdi ma avrebbero benissimo potuti
essere a fianco dei Palestinesi terroristi, oppressori di donne e
negatori della democrazia contro un paese che la democrazia la
pratica e che le donne le rispetta? Penso tanti. Perché sono
convinto che nel cervello in pausa dei fanatici ci sia una grande
confusione.
Ma
la confusione, purtroppo non affligge soltanto questi poveracci ma
anche insospettabili e, apparentemente, con cervello funzionante, che
abitano la galassia della sinistra.
E,
devo ammettere, anch'io sono piuttosto confuso. Dovrò
riconsiderare la mia appartenenza?
Qual’è
quel posto dove un suicidio è considerato il gesto di una persona
che ha bisogno di aiuto, non di un eroe, di una persona malata, da
curare, non da imitare?
Qual’è
quel posto ideologico dove chi afferma: “Spero che anche voi un
giorno (se non l'avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché
solo così si cambia il mondo", è una persona profondamente
disturbata che ha stentato a trovare un equilibrio nella propria
vita?
Tutto questo ho detto, spero, con il rispetto che si deve a chi è morto, a chi ha scelto il suicidio come estrema ratio, a chi ha tribolato sicuramente tanto nella sua vita. Riposa in pace povero Lorenzo.
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