Mentre si
diffonde un analfabetismo di ritorno si assiste al ritorno del classismo o,
meglio, di uno snobismo di classe, di un
sentimento antidemocratico. Un sentimento che sembra rivolgersi in particolare contro il "popolo" che vota m5s.
Un sentimento che ha sempre contraddistinto
le élite sociali ma che, adesso, sembra appannaggio di piccolo-borghesi che
scimmiottano la “nobiltà”. Anche nella testa di molti che democratici hanno
sempre pensato di essere. Il suffragio universale è vecchio come me, quasi.
Significa che è giustificabile l’ignoranza di come fosse prima? Non credo. È
perdonabile dimenticare le ragioni del suffragio universale?

Il
suffragio universale fu concesso per la prima volta in Italia nel 1946 in
occasione del referendum per la Repubblica. In America ancora prima. Già nel
1922 il XIX emendamento della Costituzione introdusse il suffragio universale,
anche se con delle restrizioni: per l’ammissione all'esercizio dei diritti
politici erano previste tasse elettorali e il superamento di prove volte a
stabilire il grado d’istruzione. Queste restrizioni furono eliminate solo nel
1965, non certo un secolo fa. “Le ultime discriminazioni, che si opponevano
all'esercizio pieno del suffragio universale, sono scomparse in America negli
anni settanta del XX secolo; gli ultimi emendamenti sono resi definitivi e
stabili nel 2006.” (Wikipedia) Insomma oggi!
Allora
cosa ci disturba del voto del “popolo”? Il fatto che possa scegliere? Per molti sicuramente. Ma, principalmente, il
fatto che scelga chi non ci aggrada e ci piace pensare che lo faccia perché “ignorante”,
perché non ha gli strumenti culturali che gli consentano una scelta ragionata. Come se
gli istruiti ragionassero tutti allo stesso modo, come se l’istruzione fosse la
chiave per scegliere bene. Chiunque capisce che non è così. Eppure se abbiamo
un diploma qualsiasi o una laurea qualsivoglia ci sentiamo tra quelli che,
soli, dovrebbero votare o esseri votati.
Non come oggi che possono votare cani e porci, l’idiota come l’assassino, il
ricco come il povero, il musulmano e il cattolico, le donne e gli uomini, il
ladro e il truffatore. E possono anche
essere eletti. Dimentichiamo che oggi siamo tutti diplomati e quasi tutti
laureati. E tra i laureati si trovano, necessariamente, i ladri, gli assassini,
i ricchi e i poveri. Il fenomeno di un “popolo” di laureati che non riesce a
scegliersi i governanti giusti da oltre un secolo non troverebbe spiegazione
secondo questo approccio. In Arabia Saudita, come in tutte le dittature, esercitano
il potere solo persone istruite, magari laureate a Londra o a Parigi. Si
traduce questo in un bene per il Paese?
Non è forse da questo che nasce il suffragio
universale? Dalla falsità che vuole che solo chi ha studiato - in certi paesi e, in certi momenti, nel nostro solo i ricchi -
possa votare o governare? Non nasce dalla riconosciuta iniquità che escludeva
qualcuno dall'esercizio dei diritti civili sulla base del censo, del sesso,
della religione, dell’istruzione? Naturalmente, ognuno è libero di coltivare nella vita
e nella professione la narcisistica idea di sé come migliore degli altri, ma
per un riconoscimento pubblico vengono al pettine i nodi inestricabili del “chi
giudica se lo sei davvero?”.
Allora
davvero chiunque può diventare presidente del consiglio? Certo, chiunque. Non è
necessario studiare per avere un’idea di come vada governata la società. A
scuola non possono insegnarti a “votare bene”. A scuola non puoi imparare se è
giusta la filosofia “dell’accoglienza” o “dei respingimenti”. Ci si forma un’idea
di questo e tanto altro a prescindere dall’istruzione.

Chiunque
può avere un modello di “buona scuola” anche senza avere studiato, come del
resto neanche quelli che vi lavorano, solo per questo, hanno più titoli per
esprimersi. Non è automatico che gli insegnanti s’intendano di “scuola”, o che
i medici s'intendano di sanità tant'è vero che in occasione di tutte le riforma
scolastiche e sanitarie sono gli ultimi, se mai, a essere interpellati.
La politica di una società consiste nel governare una grandissima varietà di
stimoli che nascono da altrettanti e variegati interessi, spesso in contrasto tra
loro. Non basta essere portatore di un interesse per essere giudicato in grado
di governare. La Sanità di un paese non sono i medici, l’industria non sono gli
industriali. Chi mandiamo alla sanità, un medico (e in tal caso che medico?
Chirurgo, dermatologo)? Un Prof universitario? Un infermiere basterà? O un
paziente? E all'Industria mettiamo un industriale o un operaio? O va bene anche
un artigiano? Al Lavoro sicuramente un operaio, o no? Basterebbe un “grande
lavoratore”? E al turismo, certamente, un turista!
Chiunque
può avere un’idea di società migliore e chiunque deve poter provare a
realizzarla. Anche chi non ha istruzione. O vogliamo tornare al governo di pochi ricchi istruiti di cent'anni fa?
Allora
perché, con tanto astio e puzza sotto il naso, impugniamo matita rossa e
bacchetta, stile maestro anni ’50, per correggere e sferzare il povero Gigggi Di Maio.
Indovinare i congiuntivi lo renderebbe migliore di quello che è? Non
indovinarne uno lo rende cattivo o peggiore? Come di un idraulico mi interessa
la sua competenza in fatto di tubi e non che sappia l’Italiano, cosi di un
politico mi interessa che abbia delle buone idee e la capacità di portarle
avanti.
Poi un
sistema democratico maturo, efficiente, offrirà al politico, senza chiedergli
di essere un pozzo di scienza, tutte le competenze che gli serviranno nelle
figure dei funzionari che guidano le Istituzioni e i loro uffici.
Quindi, considerando, che nessuno “nasci ‘nzignatu”,
dovremmo cercare di prescindere, nei nostri giudizi politici, dalla forma
grammaticalmente corretta con cui vengono rappresentate le proposte
politiche e giudicarne solo il contenuto. La conoscenza dell’Italiano è una
competenza che si deve pretendere da quelli che paghiamo perché insegnino ai
nostri figli, da quelli che paghiamo per leggerne i libri o gli articoli, insomma
da quelli che della lingua italiana fanno un lavoro. Non dal Bagnino né dall'industriale,
non dal muratore o dal falegname né dal politico, anche se, certo, non guasta
mai. La Fedeli non è inetta per il suo italiano incerto, ma per le minchiate
che fa o dice. Non è l’italiano di Razzi che mi preoccupa, ma la vuotezza della
sua testa. Così come l’italiano di Sgarbi non mi rassicura neanche un po’ sulla
sua capacità di governare (Salemi).
Credo che
la possibilità oggi offerta a tutti di dire la propria sui social influisca
sull'impressione che abbiamo di essere circondati dall'ignoranza e dalla
presunzione. Ma ne eravamo circondati
già prima d’internet, senza saperlo. Internet non ha causato l’ignoranza e la presunzione:
le ha solo esposte.
Qui sotto dei link a mie note simili.